«Dover convivere con una disabilità ti cambia la Vita intera e non solo il modo in cui vivi» (Bob Dole)
Cambiare la narrazione sulla disabilità è necessario, perché dev’essere una scelta consapevole delle parole.
Bisogna rendere protagonista la persona stessa, evidenziando le sue doti e capacità, tutti gli aspetti che la rendono parte attiva della società, e MAI ACCENTUARE, la sua disabilità.
Sicuramente, l’interesse prioritario, per un linguaggio inclusivo, è portare, come già detto, l’interesse sulla persona, quindi definire: “persona con disabilità” e non “disabile”. Non porre l’attenzione su una mancanza, ma sul contenuto di ciò, che è.
Un linguaggio inclusivo è l’educazione della persona, a prescindere dalla categoria che rappresenta.
Di Linguaggio Inclusivo si è parlato, giovedì 14 novembre, nei locali dello “I.E.R.F.O.P.”, l’Istituto di Formazione, per le persone con disabilità, e che nutre particolare attenzione alle persone cieche.
Tra i temi toccati dalla Dottoressa Tomirotti, noi né elenchiamo alcuni:
VEDERE LA DISABILITA’ o GUARDARE LA DISABILITA’?
La differenza di queste due parole simili tra loro è sostanziale. Il primo è un atto superficiale, un’analisi, che molto spesso, si sofferma solo all’aspetto estetico. Non è molto positivo, anzi è un processo passivo, in cui si memorizza la persona, con la sua disabilità. Quando vediamo una persona con disabilità, notiamo la sua sedia a rotelle, il suo bastone o qualsiasi altro ausilio che utilizza. Questo, però non ci aiuta a vedere e capire la persona, non per quello che si vede, ma per quello che è quest’ultima nel suo “io”, con le sue esperienze, emozioni, i suoi sogni, etc. Vedere può essere accompagnato da stereotipi, pregiudizi e da una certa indifferenza.
Mentre GUARDARE LA DISABILITA’ richiede consapevolezza profonda. Guardare implica un’attenzione consapevole, un’apertura mentale che va oltre il semplice atto del vedere. Quando guardiamo la disabilità, cerchiamo di capire le caratteristiche e le storie di ogni
persona. Guardare significa ascoltare e conoscere l’umanità e la dignità della persona con disabilità.
Si è parlato anche di ABILISMO, non è una locuzione positiva, perché è una discriminazione delle persone non disabili, che porta a comprendere la disabilità, come un difetto anziché uno dei tanti aspetti della varietà umana.
Poi, perché parlare di INCLUSIONE? Già questo è discriminante. Quando viene usato questo termine, ipotizziamo che ci sia qualcuno che include e qualcuno che viene incluso. Stiamo riproducendo linguisticamente un divario, tra il cosiddetto normodotato che include, e la persona con disabilità, che quindi viene incluso.
Insomma, un’interessante e lunga giornata con tanti temi analizzati.
Daniele Cardia
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