(Adnkronos) – "Se la prima descrizione scientifica della presenza nello stomaco dell’Helicobacter pylori risale al 1892, fu circa cento anni dopo che due ricercatori australiani scoprirono che quel batterio spiraliforme, nello stomaco dell’uomo, è capace non solo di causare ulcere ma anche di rappresentare un importante fattore di rischio per lo sviluppo di un cancro. Per tale scoperta quei due ricercatori ricevettero nel 2005 il Premio Nobel per la Medicina. Nei casi di gastrite cronica, che siano o meno correlati ad infezione da H. pylori, così come nei casi di malattie acido-correlate come l’ulcera peptica o la malattia da reflusso, gli inibitori della pompa protonica (Ipp), comunemente indicati con il termine rassicurante di 'gastroprotettori', sono i farmaci più usati, spesso per tempi lunghi, talvolta esageratamente lunghi, non di rado inutilmente lunghi". Sono questi i temi della nuova puntata di 'Igea, la Medicina dal mito all’intelligenza artificiale', videorubrica che raccoglie aggiornamenti medici ed approfondimenti scientifici relativi ai temi della salute, curata dall’immunologo Mauro Minelli, docente di nutrizione umana e nutraceutica presso Lum. "Si tratta di farmaci capaci di inattivare un particolare enzima, tecnicamente definito H+/K+ ATPasi ma più comunemente noto come pompa protonica, in dotazione alle cellule parietali gastriche cui compete la produzione di acido cloridrico. Bloccando l’attività di quell’enzima, gli Ipp riducono i livelli di acido nello stomaco, pure necessario per promuovere la scomposizione e, dunque, la pre-digestione del cibo, con un’azione che si manifesta sia dopo un pasto che a digiuno", spiega Minelli. "In Italia, gli inibitori di pompa protonica sono certamente tra i medicamenti più usati, rappresentando oltre il 90% del consumo di farmaci per l’ulcera peptica e la malattia da reflusso gastro-esofageo. Secondo dati recenti forniti dall’Osservatorio Nazionale sull’Impiego di Medicinali, solo nel 2021 la spesa complessiva per gli Ipp è stata quantificata in 660 milioni di euro – ricorda – Altro elemento importante da considerare è che la prevalenza d’uso di questi farmaci raggiunge il 60% nelle persone di età pari o superiore ai 75 anni. Si tratta di cifre enormi il cui valore, beninteso, non è aumentato per l’aumento dei prezzi, ma per il progressivo inarrestabile incremento delle prescrizioni. A fronte delle quali una qualche riflessione va fatta: sapendo che gli IPP possono interferire con il metabolismo di diversi altre categorie di farmaci eventualmente assunti in contemporanea, quanto è opportuno prescrivere Ipp ai pazienti in politerapia, fosse anche come supplemento ad un antinfiammatorio /antidolorifico?". La puntata cercherà di rispondere ad alcune domande: "Quanto è indicato farli assumere da pazienti con insufficienza epatica? E quanto è possibile che, riducendo per tempi inusitatamente lunghi i livelli di acidità gastrica, gli Ipp possano favorire l’insorgenza di patologie progressivamente evolutive, agendo da fattori che invece di curare una patologia ne favoriscono l’insorgenza e la progressione? E, ancora, considerando le inevitabili turbe assorbitive di vitamine e sali minerali come ferro, magnesio calcio che a agli Ipp si associano, quanto è corretto prolungare sine die la terapia con questi farmaci a soggetti anziani che già solo per la loro età sono a forte rischio di osteoporosi e dunque di fratture?", conclude Minelli. —[email protected] (Web Info)
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